Se passate da Offida, vi consiglio una cena all’Osteria Ophis perchè Daniele Citeroni è uno chef oggettivamente Simpatico. Sembra provocatorio iniziare un articolo su uno chef che ha appena preso il punteggio massimo da Gambero Rosso parlando della sua simpatia. Tanto più se generalmente è apprezzato per lo studio rigoroso delle materie prime, la selezione scrupolosa dei suoi fornitori, la cultura e il rispetto della sua terra e la tradizione dei suoi piatti (che rivisita con una sensibilità creativa che “o ci nasci o non ci diventi”). Ma proprio perché è assurdo non è per nulla scontato, e vi spiego perché.
Dietro a ogni piatto, una storia con cui giocare
Uno chef può essere molto bravo ma comunicare poco o tirarsela troppo. Nell’ equilibrio dei piatti, tra acidità e dolcezza, tra cremosità e croccantezza, l’ingrediente della Simpatia se c’è si vede. Daniele Citeroni si diverte a sperimentare, gioca con i suoi impiattamenti, sovverte le regole, non si prende troppo sul serio, sposa “le cause perse”, gli ingredienti poveri e perduti ( e forse un po’ “sfigati” perché magari esteticamente bruttini o leggermente puzzolenti), e ( nonostante tutto) mantiene i prezzi più che onesti. E’ il Robin Hood dei Fornelli, il difensore delle materie prime povere, colui che rende ricchi i piatti umili e contadini.
E dal menù, ecco tre proposte che lui stesso ha scelto di farmi assaggiare…
La Terrina di Fegato
L’idea della terrina di fegato parte dalla mattanza del maiale (è questo il periodo). I contadini a fine giornata, solo per quel giorno, mangiavano il fegato del maiale sulla brace con alloro, arancia e limone. La “rivisitazione regale” sembra un semifreddo di cioccolato ricoperto di croccante e panna, in realtà è una terrina di fegato di vitello, con piccole gocce di strutto fatto in casa lavorato con sale liquido per lasciarlo cremoso e pane nero affumicato per dare il sentore di brace. A fianco, estratto di alloro, arancia e limone a ricordare da dove l’idea del piatto è nata.
La Zuppa di Cipolla
La cipolla, ormai un cavallo di battaglia del menù, viene svuotata e messa al forno su un letto di sale (il sale resta nell’impiattamento perché qui non si butta via niente!) e poi riempita con una crema di cipolle e Primo Sale di Capra di Eros Fontegranne (“ancora per poco perché con l’arrivo del freddo la capra non fa più il latte e i produttori seri non la stimolano” Leggi anche formaggi Fontegranne e funghi porcini (“perché seppur quest’anno se ne trovano pochi, in autunno almeno quei pochi bisogna mettercel!i”). Anche il semplice grissino appoggiato sopra racconta una storia, perché è fatto a mano con dell’estratto di cipolla al suo interno. E così è per il pane e la focaccia, che parlano di un piccolo forno di Bologna dove è stato preso il lievito madre che viene rinfrescato un giorno sì e uno no utilizzando solo farine di grani antichi macinati a pietra. E via via anche per l’olio in degustazione, esclusivamente Offidano dell’azienda biologica Aleandri che lui conosce personalmente, come conosce benissimo gli altri 33 suoi fornitori (l’80% ascolani), col tempo diventati amici e “compagni di merende”.
Come un Funghetto Offidano
Come un Funghetto Offidano, chiude il pasto e il cerchio. Qual è il più antico, tipico e umile dolcetto di Offida? Il Funghetto, un semplicissimo impasto di farina, acqua, zucchero e anice nato proprio ad Offida. Ovviamente lo Chef non poteva non recuperarlo, prendersi a cuore la sua storia e reinterpretarla a modo suo: una sfera di meringa che, con un colpo secco di cucchiaio, si frantuma in un’esplosione di morbidezza: crema pasticcera all’anice, golosa ma per nulla stucchevole (coerentissima con l’idea di dessert di uno chef che non mangia dolci)
Uno tesoro nascosto: La Cantina
Come in tutte le migliori favole c’è però il colpo di scena, il segreto che non ti aspetti. Nel locale, in mezzo a tanti ingredienti poveri, c’è una grotta nascosta che custodisce, tra conserve e bottiglioni di aceto alle mele dei sibillini fatto in casa, una miniera di bottiglie d’oro. 110 etichette, un bottino stimabile in migliaia di euro di purissimo nettare degli dei, con alcune chicche ben nascoste che non si toccano: Rossi Piceni Superiori del 1998, straordinaria annata, di cui Daniele va fierissimo. E tra una chiacchiera e l’atra, proprio in cantina, scopro il suo punto debole: Il nostro eroe ama sì le Marche in maniera viscerale, ma di fronte ad alcuni vini piemontesi perde la testa. Volete corrompere lo chef perché magari non avete trovato posto ( sono solo 28 i tavoli del suo locale e a breve diventeranno 25 secondo la regola pochi ma buoni)? Vino Bianco Montecitorio Vigneti di Massa (zona Tortona – Alessandria) e il tavolo magicamente sarà vostro!
E una volta seduti, vi consiglio di rilassarvi perché le attenzioni da Ophis sono tutte incluse nel coperto e vanno assaporate lentamente.
Osteria Ophis Corso Aureo Serpente, 54, Offida (AP)